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Perché il caso Europa contro l’editore di X Post, Musk, dimostra che gli algoritmi non sono agnostici-One More Thing

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Di Massimo Sideri, inviato ed editorialista del “Corriere” sui temi di scienza, innovazione e tecnologia (vedi riferimenti a fondo pagina)

Fare notizia con Elon Musk è facile.
Lo sanno i giornali. Lo sa Elon Musk stesso.

Basta un classico sillogismo aristotelico per spiegarlo. Di quelli che si studiamo a scuola, in filosofia, del tipo: ogni animale è mortale; ogni uomo è animale; ogni uomo è mortale.
Ora partiamo dal un classico del sociologo del villaggio globale  Marshall McLuhan: il medium è il messaggio. Twitter (scusate faccio fatica a chiamarlo X) è un medium. Twitter è il messaggio. 

Peccato che Twitter sia ormai Elon Musk. Di X Musk è l’editore, il direttore e l’editorialista principale e unico. 

Dunque, riprendendo e completando il sillogismo: Elon Musk è il messaggio.
Ecco spiegata con la sociologia classica della comunicazione, la sua centralità e la sua sostanziale vittoria sia che se ne parli bene, sia che se ne parli male.

Appare facile ma sono pochi i personaggi che sono stati capaci di costruire questa centralità mediatica, questa gerarchia binaria tra la voce e i follower: Silvio Berlusconi, Donald Trump, Barack Obama, Steve Jobs. Non è una questione di ricchezza e non è una pura equazione la cui variabile è l’importanza.

Per esempio, per decenni, non c’è riuscito l’uomo più ricco e per certi versi dovremmo dire più influente del mondo visto che tutti abbiamo usato i suoi software: Bill Gates. 

Ancora, per paradosso, non c’è riuscito nemmeno Mark Zuckerberg, pur avendo costruito la più grande rete sociale del mondo.

Insomma, non è un bottone che potete spingere: diventare il messaggio è una specie di perturbazione gravitazionale della comunicazione.

Da questo punto di vista Musk è il campione mondiale del marketing, secondo solo a Sigmund Freud* (per chi non conosce questa citazione la spiego alla fine).

Nonostante tutto torno su Musk, consapevole di fargli un piacere, per argomentare a favore della restaurazione delle regole nell’informazione. Il commissario al Mercato unico, Thierry Breton, ha scritto a Musk chiedendo con una urgenza irrituale (sole 24 ore) di rispondere subito alla Ue. Lo scarso tempo è giustificato dall’accusa: “disinformazione”. 

Non si tratta di ciò che scrive generalmente e direttamente  Musk che rientrerebbe nel diritto di opinione (che senza voler entrare nel merito non può corrispondere al diritto di dire tutto. Se dico “sei un ladro” e non lo posso provare, per esempio, non è un’opinione. E’ diffamazione).

Ma in questo caso Musk non è chiamato in quanto editorialista di punta del suo “X Post” o “X Times”. Ma in quanto editore.

Se circolano liberamente su X e sugli altri social network messaggi di propaganda con notizie false o semplicemente non appurate in particolare sulla guerra che sta scoppiando tra il confine di Israele e la striscia di Gaza come è possibile che non sono non ci sia una responsabilità editoriale ma che nessuno debba nemmeno intervenire se non per una pura questione morale?

Questo è il peccato originale nella regolamentazione della nascita di Internet i cui artefici principali furono Al Gore e Bill Clinton.

In particolare è il Telecom Act e il Decency Act (con l’ormai celebre Sezione 230), le normative del 1996 che hanno dato forma a Internet e che riprendevano un caso degli anni Cinquanta del tutto obsoleto (un libraio era stato accusato di diffondere materiale indecente perché aveva venduto libri pornografici.
La sua difesa, accolta, era stata che non poteva leggere tutto ciò che vendeva). E’ nata così la controversa Sezione 230 e in particolare questo passaggio: “No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.”

In sostanza si dice che nessun gestore di servizi online può essere considerato responsabile per i contenuti che passano su di esso prodotti da altri. E’ la regola del libraio applicata al Villaggio globale. 

Una licenza di fregarsene. Cosa che accade ogni giorno. 

In Europa di fatto valgono le stesse regole, non per legge, ma per cooptazione di consuetudini e forse anche per una sorta di conplesso di inferiorità su tutto ciò che riguarda l’industria del digitale. E anche, certo, per la natura sfuggevole della Rete che non ha confini, qualità che ha permesso per decenni agli Over the top, Apple, Google, Amazon, di comportarsi come Over the tax.

Gli Usa ne sono consapevoli. Lo stesso Trump nel 2000 tentò di cancellare la sezione 230. Usò proprio Twitter per sostenere la sua campagna. In realtà Trump voleva bloccare un corollario della Sezione 230 secondo il quale i provider possono anche decidere liberamente come moderare il dibattito e chi espellere. In sostanza ciò che Twitter fece con Trump prima di essere acquisita da Musk.

La scorsa estate, nel giugno del 2023, è stata chiamata in causa anche la Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Twitter contro Taamneh: i parenti delle vittime di un attentato dell’Isis avevano sostenuto che il social network, non solo lasciando circolare ma addirittura “consigliando” i tweet dell’Isis, si erano resi corresponsabili degli atti di terrorismo.

I giudici non solo non hanno ritenuto di dover aprire la questione della sezione 230 ma hanno anche scritto che in realtà l’algoritmo è “agnostico” perché tratta l’Isis come tutti gli altri contenuti!
E’ proprio questo il problema: se il terrorismo per te è come vendere delle scope elettriche, solo un modo per fare un click, allora abbiamo tutti un problema.

In questo caso vale il rasoio di Occam: la versione più semplice è quella da preferirsi. Musk è l’editore di X. Anche perché è il suo stesso atteggiamento su X a farne l’editore.

Tutto questo mi convince ancora di più di quanto avevo scritto poche settimane fa sul Corriere. Un breve corsivo che riporto qui:

Etimologia del fu Twitter.
La formula «caso e necessità», sintesi dei meccanismi profondi dell’evoluzione secondo Darwin, sembra valere anche per i brand: l’idea originaria era di battezzare la società Stat.us, un servizio di sms per condividere in un gruppo di amici ciò che si stava facendo (appunto lo «status» in inglese). Il progetto venne buttato giù nel 2001 da Jack Dorsay su un foglio di un blocknotes a righe, fatto della stessa carta che ha contribuito a spingere verso l’estinzione. L’iPhone allora non esisteva ancora (arriverà solo nel 2007): bisognava dunque usare una di quelle minuscole tastierine del cellulare dove il 2 era «abc», il 3 «def». L’incubo era il 7: «pqrs». Ecco perché i messaggi erano ridotti a 140 caratteri: una necessità, non una capacità divinatoria sull’involuzione sintattica del nuovo millennio. Ecco poi il caso: visti i soli 140 caratteri Noah Glass ebbe l’idea di richiamare il tweet, il cinguettio. Lui venne cacciato e sostanzialmente dimenticato dalla storia. Ma si tennero l’idea. Peccato che si scoprì che twitter.com era occupato da un appassionato di ornitologia. Si pensò allora a Twttr (ancora oggi se digitate twttr.com planate sul sito giusto). Esercizio troppo disgrafico. La storia conferma anche che la passione per l’ornitologia non ha mai portato soldi: il dominio twitter.com venne alla fine ceduto poche settimane prima del lancio ufficiale per 7.500 dollari. Al tempo per usare il servizio sulla rete telefonica serviva un codice: 40404. Oggi la chiamiamo preistoria. Forse senza il giusto rimpianto. Per anni non abbiamo capito che «Verba volant, tweets manent». Molti politici ne hanno pagato le conseguenze. Per altri un tweet è stato come i diamanti: per sempre. Ora si può dire che Musk ci ha messo una X sopra, anche su uno dei loghi più eleganti della storia. Twitter riposa in pace. Lunga vita a Twitter.

* Freud pubblicò sulla rivista viennese Imago un articolo dal titolo: Una difficoltà della psicanalisi. In questa analisi Freud, partendo dal mito di Narciso, scriveva delle tre “umiliazioni” inferte all’essere umano. Prima da Copernico che ci scippò la centralità dell’Universo. Poi da Darwin che ci tolse dal trono della natura. Infine da Freud stesso che ci mostrò come fossimo in realtà il risultato dei problemi irrisolti con nostra madre. Insomma, il messaggio in questo caso era: esistono tre geni nella storia dell’umanità: Copernico, Darwin e me stesso. Se non è marketing ante litteram questo…

Certo Freud aveva ragione nel vendersi. Musk no.


APPROFONDIMENTI

One More Thing: dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)

Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, riportiamo sul nostro blog gli articoli della Newsletter “One More Thing” (https://www.corriere.it/newsletter/?theme=59#).
Perché One More Thing, ancora un’altra cosa? Perché nell’era dell’infodemia e della bulimia informativa di cui siamo tutti vittime, esistono ogni tanto notizie che non si contano ma si pesano. Ecco allora perché “One  more thing” come il famoso stratagemma di Steve Jobs per presentare, all’ultimo, l’innovazione migliore. Ma anche come quell’ancora un’altra cosa con cui il tenente Colombo tesseva la sua ragnatela intorno al colpevole, filo dopo filo, con il metodo scientifico di Galileo Galilei.