Di Massimo Sideri, inviato ed editorialista del “Corriere” sui temi di scienza, innovazione e tecnologia (vedi riferimenti a fondo pagina)
Il più grande giallo matematico dell’antropologia: i numeri primi sono stati intuiti in Africa 20 mila anni fa?
All’Istituto reale di Scienze Naturali di Bruxelles c’è un reperto eccezionale che purtroppo raccoglie solo qualche sguardo distratto dei visitatori più tenaci, quando va bene: è l’osso di Ishango che risale, secondo le tecniche del Carbonio 14, a circa 20 mila anni fa.
Siamo nell’ultima lunga coda del Paleolitico.
L’osso racchiude molte domande alle quali non si riesce a dare una risposta: dubbi per cui bisognerebbe riscrivere la preistoria della matematica.
Non è il primo in assoluto: l’osso di Lebombo con le sue 29 tacche risale a 35 mila anni fa.
Ma il reperto di Ishango offre spunti diversi: su uno dei lati dell’osso, difatti, si può facilmente vedere una serie di tacche che rappresentano i numeri 11, 13, 17 e 19. Quattro soli numeri, ma troppo importanti per essere derubricati superficialmente a prodotto del caso. Si tratta della serie completa dei numeri primi tra il dieci e il venti. La datazione è importante perché i primi insediamenti stanziali di homini e animali, quelli che diedero vita alle prime zoonosi con il passaggio degli agenti patogeni all’uomo, si fanno risalire ad «appena» diecimila anni fa.
L’osso venne ritrovato nel 1950 fra i monti dell’Africa centrale dell’odierna Repubblica del Congo.
Anche le altre file di tacche paiono rappresentare delle serie di numeri e i matematici e gli antropologici hanno cercato mille modi per dargli un significato, con risultati spesso bizzarri. Oggi gli studiosi sono concordi nel considerarlo materiale indiziario più che probatorio ma allo stesso tempo, come spiegano dall’Istituto Reale di Bruxelles, l’evidenza è sufficiente per sollevare almeno l’ipotesi che la matematica sofisticata (in alcune tribù la matematica ancora oggi non esiste, limitandosi a distinguere i concetti di pochi e molti) non sia nata in Mesopotamia.
L’osso è un indizio incerto, rischioso se si vogliono trarre delle conclusioni, ma è difficile non lasciare galoppare l’intuizione per disegnare possibili scenari basati su quello che vediamo.
Può essere considerato, con le sue quattro serie incise su tre lati, una sorta di strumento di calcolo? Oppure era solo un oggetto rituale? Facile immaginare che, in assenza di nuove prove, non lo sapremo mai.
Anche perché l’evoluta civiltà di Ishango venne spazzata via dalla Terra troppo velocemente per lasciare ampi segni.
Quella dei numeri primi è forse la più bella avventura della matematica. Da sempre i numeri che possono essere divisi solo per stessi e per uno sono considerati i «mattoncini lego» dell’algebra: questo vuole dire che tutti gli altri numeri possono essere ottenuti come combinazioni di numeri primi.
Le prime tavole conosciute su questa famiglia sono quelle del bibliotecario di Alessandria Eratostene (lo stesso che misurò la circonferenza della Terra sbagliando di poche centinania di kilometri), costruite proprio su questo principio: trovato un numero primo come tre cancelliamo tutti i suoi multipli fino, per esempio, a mille. Completata la durissima e lunga operazione di isolamento fino a mille quelli che rimangono, i sopravvissuti, sono numeri primi.
Fu uno di questi setacci di Eratostene a stimolare il giovane Gauss.
Il problema è che non sembrano avere una funzione generatrice tanto che, per la loro apparente «casualità», sono usati nella crittografia della sicurezza informatica e a loro abbiamo affidato le transazioni online. Chi svelasse questo mistero potrebbe far crollare Wall Street.
Molti sono stati i matematici che sono inciampati sulla madre di tutti i segreti dei numeri primi, rotolando malamente: anche il talento autodidatta Srinivasa Ramanujan (il matematico indiano a cui si deve la dimostrazione secondo cui la somma di tutti i numeri interi positivi fino ad infinito fa —1/12) cadde nel tranello credendo di avere trovato una funzione generatrice.
I numeri primi sembrano contraddire una delle affermazioni più popolari di Albert Einstein: «Dio non gioca a dadi». Si è forse concesso un’unica eccezione?
La soluzione più accreditata è la famosa ipotesi di Riemann, una delle sfide lanciate dal matematico David Hilbert all’inizio del Novecento (lo stesso che aveva sfidato Einstein nella dimostrazione matematica della teoria della Relatività) e l’unica a non essere stata risolta.
Purtroppo il mistero di Bernhard Riemann andò presumibilmente bruciato a causa di una governante troppo solerte nel fare pulizia dopo la sua morte (per tubercolosi, proprio come Ramanujan).
È come se dei numeri primi si sapesse tutto, tranne le origini e la fine.
E l’idea che possano essere stati per la prima volta se non «scoperti» ma almeno incrociati in Africa 20 mila anni fa apre degli scenari antropologici molto ampi.
L’osso, che inizialmente era stato considerato vecchio di soli 6.500 anni, ha ricevuto di recente la conferma di ulteriori esami che lo vogliono proprio antico di ventimila anni.
La preistoria dell’algebra e della teoria dei numeri rimane così sospesa in un limbo irrisolvibile che ne aumenta il fascino per chi supera i pregiudizi creati troppo spesso da scuole superficiali o professori poco pazienti e creativi (a riguardo vale la pena sottolineare come la supposta bocciatura di Einstein in matematica a causa di un docente ottuso è una pura leggenda metropolitana).
In definitiva l’osso di Ishango non fa altro che confermare una cosa che ormai sappiamo bene: le razze, geneticamente parlando, non esistono. Facciamo parte tutti della stessa specie.
E forse è stato proprio un lancio di dadi a decidere se far emergere una civiltà piuttosto che un’altra. La risposta rimane in una teca a Bruxelles.
Istituto reale di Scienze Naturali di Bruxelles – Osso Ishango
APPROFONDIMENTI
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Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, riportiamo sul nostro blog gli articoli della Newsletter “One More Thing” (https://www.corriere.it/newsletter/?theme=59#).
Perché One More Thing, ancora un’altra cosa? Perché nell’era dell’infodemia e della bulimia informativa di cui siamo tutti vittime, esistono ogni tanto notizie che non si contano ma si pesano. Ecco allora perché “One more thing” come il famoso stratagemma di Steve Jobs per presentare, all’ultimo, l’innovazione migliore. Ma anche come quell’ancora un’altra cosa con cui il tenente Colombo tesseva la sua ragnatela intorno al colpevole, filo dopo filo, con il metodo scientifico di Galileo Galilei.