Perché leggere i classici aiuta a capire come funziona l’innovazione – One More Thing

Intelligenza artificiale che pensa? Forse ci siamo…
16/11/2023
Il doppio anniversario della Rai: 70 anni di televisione e 100 di radio
03/01/2024
Show all

Perché leggere i classici aiuta a capire come funziona l’innovazione – One More Thing

Alexander Dumas-Conte Montecristo-Fonte: Wikipedia

Di Massimo Sideri, inviato ed editorialista del “Corriere” sui temi di scienza, innovazione e tecnologia (vedi riferimenti a fondo pagina)

 

Il miglior consiglio per chiudere il 2023, l’anno che passerà alla storia per ChatGPT e le rinnovate promesse dell’intelligenza artificiale, è facile: leggere non solo un buon libro. Ma un classico della letteratura. Per capire come l’innovazione si incastri nella società, plasmando umori e nuovi malumori.

Prendo come esempio “Il conte di Montecristo“, non solo perché con le sue 1.214 pagine dell’edizione Einaudi è una fatica anche da tenere in mano durante la lettura. Ma perché Alexandre Dumas non è considerato un autore particolarmente attento (l’edizione Einaudi, basata sul lavoro di Claude Schopp, lo definisce “scrittore notoriamente ben poco meticoloso”, anche per la sua scrittura di getto).

Nonostante questo la semplice lettura del libro permette di raccogliere un’enorme quantità di informazioni sulle grandi innovazioni e i comportamenti del XIX secolo. 

Li possiamo riassumere così: telegrafi, ritardi e vampiri. In sostanza l’anticamera del XX secolo.

1) Partiamo dal telegrafo. Cosa c’è che non funziona?

“…facendo dal vostro ufficio con la penna e il telegrafo più di quanto Napoleone facesse con la spada e le vittorie nei campi di battaglia” dice il visconte di Morcerf a Lucien Debray a metà del libro.  Il conte di Montecristo uscì come romanzo d’appendice nel 1844, ma è collocato in un’ampio spettro temporale che va dal 1815 (il libro inizia con un passaggio del protagonista, Edmond Dantès, presso l’isola d’Elba per andare a trovare Napoleone durante il suo esilio prima del rientro in Francia e la disfatta di Waterloo) al 1838. Potendo vale la pena affiancare alla lettura del libro la visita delle due residenze di Napoleone a Portoferraio. Ma il punto è un’altro.

Quando venne inventato il telegrafo? Morse brevettò il telegrafo elettrico a filo nel 1837. Il libro non si limita alle citazioni passeggere. Anzi: il telegrafo, nello sviluppo della trama, è uno degli strumenti fondamentali per permettere a Dantès di portare a compimento la propria vendetta, dando un colpo letale alla ricchezza costruita da Danglars, l’invidioso e accidioso scrivano della nave Pharaon che dopo averlo tradito diventa il più ricco  banchiere di Francia. Il conte di Montecristo difatti immette una notizia sulla rete del telegrafo per indurre il banchiere alla vendita repentina dei suoi titoli del debito pubblico spagnolo«Il re Don Carlo è sfuggito alla sorveglianza ed è rientrato in Spagna. Barcellona si è sollevata in suo favore».

Ma si tratta di una fake news: i titoli salgono e Danglars subisce una grave perdita dal mancato guadagno.

E dunque? Si tratta di un ennesimo caso di sciatteria da parte di Dumas?

Niente affatto. Anzi: è un piccolo compendio della storia del telegrafo. Per averne riprova basta salire sulla ripida strada che a Parigi porta a Montmartre: Rue Chappe. Si tratta della parallela della funicolare. 

Si legge nella targa della via: “1763-1805 inventeur du télégraphe aérien inauguré en 1794”. L’inventore del telegrafo.

Claude Chappe fu in effetti l’inventore di un sistema di torri che, attraverso dei bracci meccanici, permettevano di spedire dei messaggi alla base successiva dove venivano letti da proto-telegrafisti con il cannocchiale che a loro volta erano incaricati di inviare il messaggio alla torre ulteriore.

Si trattava di un sistema apparentemente rudimentale che però surclassava l’alternativa del tempo (cavalli a carrozze). 

Lo stesso Napoleone, intuendo il valore militare di una notizia che viaggia più veloce, fece costruire una serie di torri per il telegrafo aereo di Chappe.

Dunque lo scrittore francese non fece un errore, anticipando il telegrafo di Morse, ma anzi descrisse la sua realtà dei fatti: una innovazione che da lì a poco sarebbe stata spazzata via (e dimenticata) dall’arrivo di una evoluzione superiore della stessa tecnologia, almeno in linea di principio.

Due curiosità: le cronache del 1833 riportano di un tentativo finito male, da parte di alcuni truffatori, di arricchirsi proprio trasmettendo notizie false attraverso la rete dei telegrafi di Chappe. E’ possibile che Dumas ne avesse letto.

La seconda: proprio nel 1844, mentre “Il conte di Montecristo” veniva pubblicato a puntate su Le journal des débats, veniva inaugurata la prima rete telegrafica con il filo tra Washington e Baltimora.

Il nuovo mondo prendeva le idee del vecchio mondo e mostrava i muscoli: di lì a poco, peraltro, proprio la corsa all’oro in California creò un grande interesse economico (oggi diremmo un hype, come sta accadendo all’intelligenza artificiale) nei confronti del telegrafo. Esistono legami a doppia elica tra grandi conquiste sociali come appunto il telegrafo e fattori di crescita economica, come la corsa all’oro. Un altro esempio è il legame tra la rivoluzione industriale e l’esplosione tra fine Settecento e l’Ottocento della stessa editoria e dei giornali.

Peraltro il telegrafo di Morse venne a sua volta successivamente superato dal telegrafo senza fili: nonostante sia indubbio che ci stessero lavorando scienziati americani o comunque in America, come Thomas Edison e Nikola Tesla, il brevetto della nuova invenzione fu quello di Guglielmo Marconi depositato nel 1896. Una rivincita del vecchio mondo (come ricordato in un altro articolo sul ruolo di Marconi nella vicenda del Titanic sebbene l’invenzione di Morse venne superata, rimase in funzione il suo codice: in particolare l’SOS, uguale a …—…, tre segnali brevi, tre lunghi e tre brevi, tutti consecutivi, che aiutò a salvare 705 persone dall’affondamento).

2) Il ritardo.
Nel citare proprio Montmartre e le difficoltà di salita Dumas fa dire a uno dei protagonisti che si tratta del “Chimborazo” francese
. Oggi non dice nulla, ma fino all’inizio dell’Ottocento era considerata la montagna più alta del mondo: fu scalando i 6.500 metri del vulcano andino che Alexander von Humboldt vide quello che oggi chiamiamo il «climate change». Era il 23 giugno del 1802. Il naturalista intuì, grazie alla visione dall’alto, che la tecnologia (al tempo sotto forma di piantagioni) avrebbe avuto un impatto non solo sull’economia ma anche sull’ambiente. Se Crutzen è il recente padre del neologismo Antropocene, Humboldt è il padre dell’idea (peraltro sull’importanza dei suoi libri per Charles Darwin è stato scritto in un altro articolo. Per la serie potenza dei libri che possono cambiare il corso della storia. L’Ai ha già ottenuto questo primato? Per ora no.

Qualche decennio dopo il naturalista prussiano, questa visione venne messa maggiormente a fuoco anche da Antonio Stoppani. Il padre della geologia italiana, già nel 1873, scrisse che l’attività umana stava modificando gli stessi equilibri naturali.

Insomma, anche in questo caso Dumas non aveva fatto una citazione a caso. Anzi: si tratta di un altro importante tassello culturale andato perso. Si apriva difatti nel 1823, chiudendosi nel 1843, l’epoca d’oro della mappatura delle montagne della catena dell’Himalaya da parte del cartografo George Everest. Conoscete il resto della storia. Addio al Chimborazo andino.

Dunque, riprendendo il ragionamento, la faticosa scalata di Montmartre-Chimborazo poteva causare il rischio di arrivare in ritardo, cosa inammissibile nella strumentazione di un gentiluomo dell’Ottocento. Ricorda Dumas la celebre frase di Luigi XIV: “Per poco non ho dovuto aspettare”.

Solo i re, si riscopre leggendo Dumas, godevano della vera qualità della puntualità: non dovevano mai attendere perché li si incontrava solo andando al loro cospetto.

3) I vampiri.
Una buona parte del libro si svolge a Roma, in mezzo al carnevale capitolino
. Dumas nota che le campane di Montecitorio suonavano solo per la morte di un Papa o per l’apertura della mascherata. All’Opera di Roma l’arrivo del nuovo misterioso personaggio, il conte, non passa in secondo piano. E di lui Dumas fa dire che è talmente pallido da sembrare lord Ruthven, il “personaggio di Byron”. Il vampiro, insomma. Sappiamo in verità che Il vampiro venne scritto dal medico di Byron, John Polidori, nel 1816, l’anno senza estate. Lo stesso anno che diede vita a Frankenstein e alla proto-bicicletta, la draisina.

Anche qui l’errore apparente è portatore sano di informazioni: a lungo nell’Ottocento Il vampiro venne considerata un’opera di Byron. Anche nella prima edizione italiana del 1831, a Udine, risultava Byron come autore. Polidori aveva preso spunto da un frammento di una storia del lord scrittore. E venne anch’egli maltrattato dalla storia.

Ultimo appunto veloce sulla forza dei libri: Dantès non consuma tutto il suo tempo solo per vendicarsi dei suoi nemici, ma vuole aiutare anche i suoi amici. Il particolare si prodiga per non far fallire il suo vecchio armatore, Morrel, e così quasi allo scoccare dell’ora della sua fine fa arrivare un finto vascello Pharaon, fatto ricostruire ad arte, in porto. Qual è il contenuto della nave che salva Morrel? L’indaco, lo stesso che scoperto dai genovesi in India nel Cinquecento, permise al blu di diventare “popolare”, dando vita al Blu di Genova, diventato a causa della storpiatura da parte dei marinai inglesi, il Blue jeans.

Quante cose si imparano semplicemente con un atto oggi quasi rivoluzionario: prendere in mano un libro.

 


APPROFONDIMENTI

One More Thing: dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)

Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, riportiamo sul nostro blog gli articoli della Newsletter “One More Thing” (https://www.corriere.it/newsletter/?theme=59#).
Perché One More Thing, ancora un’altra cosa? Perché nell’era dell’infodemia e della bulimia informativa di cui siamo tutti vittime, esistono ogni tanto notizie che non si contano ma si pesano. Ecco allora perché “One  more thing” come il famoso stratagemma di Steve Jobs per presentare, all’ultimo, l’innovazione migliore. Ma anche come quell’ancora un’altra cosa con cui il tenente Colombo tesseva la sua ragnatela intorno al colpevole, filo dopo filo, con il metodo scientifico di Galileo Galilei.