L’invenzione (italiana) che ha cambiato la scienza (nel ‘400)-One More Thing

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L’invenzione (italiana) che ha cambiato la scienza (nel ‘400)-One More Thing

Giovanni Bianchini offre all'imperatore Federico III una copia della sua opera _ Museo Arte Città di Ravenna

Di Massimo Sideri, inviato ed editorialista del “Corriere” sui temi di scienza, innovazione e tecnologia (vedi riferimenti a fondo pagina)

È un nuovo capitolo di un libro che, per fortuna, non vedrà mai il punto finale, quello della storia italiana delle scoperte e delle invenzioni dimenticate (in una mia pubblicazione per Bompiani del 2017 la definii la “Sindrome di Eustachio”, una nostra innata tendenza a non ascoltare e dunque a dimenticare i nostri grandi successi e scienziati). In questo caso si tratta di un punto, nel senso etimologico del termine. Un punto che però ha cambiato per sempre la storia della scienza e possiamo dire il mondo. Si tratta del punto decimale.

Quel 10.2 che noi italiani (ed europei) scriviamo per consuetudine con la virgola (cioè 10,2) per distinguerlo dal punto che usiamo per facilitare il conteggio delle migliaia (un milione uguale a 1.000.000). Per evitare confusioni oggi si parla di separatori decimali. Ma bando ai tecnicismi. In origine era un punto. E solo ora si è scoperto che quella origine risale al 1444 (occhio che negli anni non si usa il punto per le migliaia) e ha un padre italiano: Giovanni Bianchini, mercante e astronomo che si era anche occupato, per le sue doti di precisione e affidabilità, delle tesorerie di Niccolò d’Este che dal 1427 lo volle con sé a Ferrara. Bianchini ricevette anche un titolo nobiliare da Federico III (nel quadro che avete visto in apertura, che si trova nel Museo d’arte della città di Ravenna, si può vedere inginocchiato Borso d’Este che consegna all’imperatore una copia del Tabulae Astronomiae di Bianchini).

Dunque, sono invenzioni o scoperte italiane: il punto e virgola oltre che la stessa idea del libro “tascabile”, cioè trasportabile, voluti da Aldo Manuzio, lo stampatore veneziano di Erasmo da Rotterdam (Elogio della follia). Le cosiddette aldine sono molto amate dai collezionisti (purtroppo sono anche molto contraffatte). Sono inoltre invenzioni o scoperte italiane, in ordine sparso: il vuoto (Evangelista Torricelli), la matita (i coniugi Bernacotti), il pianoforte (Bartolomeo Cristofori), la @ chiocciola (era un’unità di misura veneziana), il blu jeans (era il blu di Genova nella storpiatura dei marinai inglesi), il mito dei marziani (sic!), il microprocessore (Federico Faggin), il copyright e gli occhiali. Qui nelle due serie del mio podcast Geni Invisibili potete sentire tutte le loro storie. Per inciso sta per partire la terza serie.

Qualche anno fa abbiamo inventato anche uno strampalato dibattito che ci ha contrapposti all’Europa sullo «zero virgola». Era sempre lei, proprio la nostra virgola decimale, nata come punto.

Ma perché è così importante e perché ha cambiato il mondo? La scoperta della paternità italiana si deve a Glen Van Brummelen, uno storico della matematica canadese che ha raccontato di avere scovato il punto decimale negli scritti di Bianchini mentre stava insegnando matematica a dei ragazzi. Qui nella sua pubblicazione appena uscita su Historia Mathematica potete vedere nella figura 8 il documento originale di Bianchini, conservato in una biblioteca di Cracovia, dove compare il punto decimale. Va riscritta la storia perché fino ad oggi si pensava che questo potente strumento fosse comparso solo alla fine del Cinquecento, dunque in epoca galileiana.

Dicevamo: perché dovrebbe essere così importante? Bianchini aveva studiato nelle scuole d’Abbaco, le scuole che sostanzialmente formavano i mercanti (un po’ come oggi le materie Stem preparano al mondo delle professioni del futuro). La sua permanenza alla corte degli estensi lo aveva portato però a pubblicare libri di astrologia che al tempo erano richiesti dai nobili (ricordiamo che lo stesso Galileo, per arrotondare il suo stipendio da professore all’Università di Padova, produceva su commissioni degli oroscopi, che vennero usati anche dai suoi nemici per tentare di denunciarlo).

Ora gli astronomi e astrologi dell’epoca usavano il sistema sessagesimale (cioè basato su un porzionamento dell’unità in sessanta parti), così come importato nella cultura occidentale dagli scritti babilonesi che a loro volta avevano introdotto i 12 mesi (sei di 30 giorni e sei di 29 che poi vennero uniformati a 30 portando il computo totale a 360). È per questo che ancora usiamo i 360 gradi per misurare gli angoli e i 12 mesi, le 12 ore e i 60 minuti e i 60 secondi per misurare il tempo.

Fatto sta che l’uso del sistema sessagesimale non era comodo quando si dovevano fare calcoli complessi e questo aveva portato anche ad accumulare degli errori che nei secoli gli astronomi ereditavano dalle tavole. Fu in questo contesto che Bianchini si impegnò a ricalcolare tutto con tavole che permettessero di passare dal sistema sessagesimale a quello decimale. Ed è qui, in queste tavole, che Van Brumellen ha scovato il primo punto decimale, cioè lo strumento che ancora oggi usiamo per fare calcoli più precisi senza arrotondare tutto all’unità (il famoso peccato originale dell’euro quando sulla base dei calcoli del potere di acquisto dei Paesi si decise che 1936,27 lire dovessero essere un’unità della nuova moneta). Da notare che era stato un altro italiano, Leonardo Fibonacci, ad introdurre nel Mediterraneo il sistema numerico indo-arabo (1,2,3,4 etc) con il Liber Abbaci nel 1202. Insomma il cerchio si apre e si chiude con due italiani.

Il punto decimale spinse gli scienziati ad essere più precisi. Potremmo dire che lo stesso Bianchini inventò una maggiore precisione, una sorta di “occhialino per vedere le cose minime”, come Galilei definì l’idea del microscopio. Diede all’umanità un microscopio per la matematica.
Può sembrare esagerato ma per comprenderlo si può usare un pensatore moderno come Marshall McLuhan.

Tutti sanno che il sociologo canadese è famoso sostanzialmente per due affermazioni:

1) l’ossimoro del Villaggio globale (che funziona in ambedue le direzioni: cioè significa che il mondo ristretto nel framework dei moderni mezzi di comunicazione come la televisione torna ad essere piccolo come un villaggio dove riemergono le propensioni tribali, ma significa anche che si abbandona la dimensione del villaggio isolato perché si diventa globali e cioè si può comunicare potenzialmente con tutti).

2) Il medium è il messaggio. Forse una delle frasi meno comprese della storia. Cosa intendeva McLuhan per medium? Siamo portati a confondere medium con media perché McLuhan faceva anche questo esempio. Certo anche i mass media e i social media sono medium. Ma in generale per McLuhan un medium è una qualunque invenzione che cambia il proprio ambiente (per chi ha interesse ad approfondire qui una intervista televisiva a McLuhan stesso: The future of the man in the electric Age).

Un esempio di medium, per restare sui sessagesimali, è l’orologio. Ha cambiato la percezione stessa del tempo. In questo senso non è solo comunicazione del messaggio che di volta in volta trasmette: sono le 2, le 3, etc, ma anche di qualcosa di più profondo che ha segnato per sempre l’immaginario comune e cioè che il tempo è stato parcellizzato, meccanizzato, ma allo stesso momento mitizzato. Il mito, per McLuhan, è difatti uno schema, anzi potremmo dire lo schema primordiale. Il racconto dei racconti a cui ricorriamo quando le informazioni diventano troppe, come appunto nell’era dell’elettricità prima e in quella digitale ora.

La tecnologia-medium ha inoltre un’altra caratteristica in McLuhan: attiva un senso (attraverso il sistema nervoso) e ne spegne altri (nella cultura orale era l’udito, emotivamente trascinante, con la scrittura diventa la vista che crea l’io moderno e l’individualismo). Ma allora stesso, mentre risveglia un senso, intorpidisce tendendo ad annullare il contenuto . Il rischio, diceva McLuhan, era che diventassimo degli “idioti tecnologici”. Il sociologo (oggi dovremmo chiamarlo l’antropologo di ciò che abbiamo definito utente) lasciava una via di fuga: l’artista che entra in conflitto con l’ambiente modificato dal medium e che dunque acquista consapevolezza. Un artista che vede più lontano degli altri – come avevamo visto qui citando il Settimo Sigillo di Bergman – e che in questo processo immagina una nuova posizione dell’uomo nell’ambiente modificato.

L’artista può essere anche lo scienziato, il visionario. Non a caso Italo Calvino diceva che Galileo Galilei era il più grande scrittore in prosa della lingua italiana. In questo senso, dunque, il punto decimale è un medium, una “invenzione”, che ha cambiato per sempre l’ambiente circostante, influenzando la scienza e la conoscenza del mondo. Non è importante il numero che c’è dietro il punto (certo è importante quando andiamo a fare la benzina), ma ciò che è rilevante è che il punto preannuncia tutto un mondo di precisione parcellizzata, la possibilità di fare a fette l’universo e dunque entrarvi sempre più a fondo. Il punto decimale anticipa l’infinitamente piccolo.

Perché proprio noi, alla fine, abbiamo optato per la virgola al posto del punto è un’altra di quelle misteriose scelte su cui vale sempre la pena continuare ad investigare. Come quando, sempre con Aldo Manuzio, abbiamo inventato quello che ancora nel mondo si chiama italic e che noi chiamiamo corsivo.


APPROFONDIMENTI

One More Thing: dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)

Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, riportiamo sul nostro blog gli articoli della Newsletter “One More Thing” (https://www.corriere.it/newsletter/?theme=59#).
Perché One More Thing, ancora un’altra cosa? Perché nell’era dell’infodemia e della bulimia informativa di cui siamo tutti vittime, esistono ogni tanto notizie che non si contano ma si pesano. Ecco allora perché “One  more thing” come il famoso stratagemma di Steve Jobs per presentare, all’ultimo, l’innovazione migliore. Ma anche come quell’ancora un’altra cosa con cui il tenente Colombo tesseva la sua ragnatela intorno al colpevole, filo dopo filo, con il metodo scientifico di Galileo Galilei.