The Los Alamos colloquium on the Super-Los Alamos National Laboratory
Di Massimo Sideri, inviato ed editorialista del “Corriere” sui temi di scienza, innovazione e tecnologia (vedi riferimenti a fondo pagina)
Un film assolutamente da vedere.
E’ questo il commento più diffuso su Oppenheimer, il nuovo lavoro dello straordinario regista Christopher Nolan sulla vita, le ambizioni scientifiche e i dilemmi morali del “padre della bomba atomica”.
E’ un film assolutamente da vedere. E’ vero. Ma proprio perché è da vedere bisogna sapere che ci sono alcune lacune molto profonde che riguardano proprio Enrico Fermi.
Il fisico premio Nobel che guidò il gruppo dei ragazzi di via Panisperna a Roma (tra cui Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo ed Ettore Majorana) nel film compare fisicamente solo di sfuggita una volta, per un totale di tre lillipuziane citazioni (di cui una sulla sua “scommessa” sulla probabilità che la reazione a catena della fissione nucleare avrebbe potuto in realtà procedere senza fermarsi incendiando tutta l’atmosfera terrestre).
Si potrà facilmente controbattere: il film è chiaramente una biografia su Robert Oppenheimer e dunque si concentra su di lui e il suo lavoro. Vero.
Però è altrettanto chiaro che il film ambisce anche a ricostruire non solo l’atmosfera ma anche i fatti più importanti legati al progetto Manhattan.
Dunque, ecco le troppe lacune. Una precisazione importante: l’articolo può essere letto anche da chi deve ancora vedere il film perché non parla di ciò che si racconta, ma di ciò che si sarebbe dovuto raccontare in aggiunta su Oppenheimer e il ruolo centrale di Enrico Fermi sia nei risultati scientifici che in quelli pratici che portarono alla costruzione della bomba atomica.
Per capirlo vale ricordare una prima distinzione fondamentale: nella fisica esistono i teorici e gli sperimentali. Nolan nel film ricostruisce correttamente la grande predisposizione e predilezione di Oppenheimer per la teoria (spesso torna il concetto che “la teoria può arrivare solo fino a un certo punto”, ripetuto dal fisico Ernest Lawrence, il padre dell’acceleratore di particelle, la tecnologia usata dal Cern di Ginevra per la scoperta del Bosone di Higgs: qui il podcast, per chi non lo avesse sentito, con la direttrice del Cern Fabiola Gianotti). La definizione più bella e ironica che abbia mai trovato è contenuta in un libro che non può non essere affrontato una volta nella vita: Sei pezzi facili, basato sulle lezioni tenute al Caltech dal premio Nobel per la fisica e filosofo della scienza, Richard P Feynman:
“Questo processo immaginativo è così difficile che nella fisica ci si divide il lavoro: ci sono i fisici teorici che inventano, deducono e tirano a indovinare le nuove leggi, ma non le sperimentano, e ci sono i fisici sperimentali che fanno gli esperimenti, inventano, deducono e tirano a indovinare”.
Come sempre esistono delle eccezioni: la prima, inutile dirlo, è rappresentata da Albert Einstein e dal suo famoso “Dio non gioca a dadi”. Einstein teorizzò leggi che vennero dimostrate dagli esperimenti solo decine di anni dopo (tra cui la curvatura della luce nello spaziotempo). Ma non divaghiamo.
L’altra eccezione fu Fermi che era considerato sia un grande teorico sia un eccellente sperimentatore. Come dice il suggestivo titolo della migliore biografia su Fermi scritta da David N. Schwartz fu “L’ultimo uomo a sapere tutto“. Per inciso, Schwart, che ho avuto modo di intervistare a New York anni fa, è il figlio di un fisico che lavorò con Fermi stesso al progetto Manhattan.
In ordine non necessariamente cronologico:
1) Nella prima parte del film che ha il merito di cercare di porre in chiave divulgativa le basi dei fenomeni di rottura dell’atomo e anche della fisica quantistica compare ad un certo punto un paper tedesco sul successo della fissione. Si tratta in effetti del risultato ottenuto da O. Hahn e F. Strassman che, bombardando con neutroni lenti l’uranio naturale, scoprirono dei radionuclidi aventi numero atomico compreso fra 35 e 57 (più basso del numero atomico originale). Questo fenomeno fu interpretato come la rottura del nucleo di uranio in due frammenti all’incirca uguali e ad esso venne dato il nome di fissione. Fu anche scoperto che soltanto il 235 U (quello contenuto nel cosiddetto uranio arricchito) subisce la fissione.
Quello che sarebbe stato necessario aggiungere per capire il ruolo di Fermi nella vicenda è che Hahn e Strassman avevano continuato a lavorare per anni con Lise Meitner (“la Marie Curie tedesca”, copyright dello stesso Einstein) proprio per riprodurre gli esperimenti del fisico italiano. Lo stesso termine “fissione” si deve alla Meitner.
Fermi difatti aveva già “rotto” l’atomo, anche se è vero che all’inizio non se ne era accorto nemmeno lui. Come avrebbe potuto? Si trattava di rompere qualcosa che era considerato indivisibile e indistruttibile. Si era appena compresa finalmente con Bohr (interpretato nel film dall’intramontabile Kenneth Branagh) la struttura dell’atomo con gli elettroni che potevano viaggiare solo in determinati livelli (si scoprirà dopo che potevano anche scendere di livello e questo contribuisce al fenomeno radioattivo naturale).
Fermi pensò inizialmente di trovarsi solo di fronte a degli elementi nuovi della tavola periodica che battezzò ausonio ed esperio (antichi nomi dell’Italia). Non va dimenticato che Marie Curie aveva chiamato il suo elemento polonio in ricordo delle sue origini polacche e anche per “vendetta” nei confronti della società francese che non le rese mai la vita facile).
Ma nel 1938 Fermi aveva già ritirato il premio Nobel per la fisica per essere “riuscito a produrre nuovi elementi radioattivi mediante irradiazione con neutroni e per avere scoperto le reazioni nucleari prodotte dai neutroni lenti”. Anzi fu proprio approfittando della consegna del premio che lasciò l’Italia fascista con la moglie ebrea Laura per la strada degli Stati Uniti.
2) Nel film si soprassiede su un altro elemento fondamentale: il primo reattore nucleare artificiale capace di causare la fissione e una reazione a catena controllata (ecco perché la scommessa sulla possibilità di controllarla a dimensioni più alte) venne costruito da Fermi nel 1942 a Chicago. Si tratta della famosa “pila di Fermi”, in realtà il Chicago-Pile-1, che entrò in funzione il 2 dicembre del ’42. Usava uranio e grafite. Senza questo risultato il programma non sarebbe mai andato avanti. Per capire la forza della reazione è sufficiente ricordare la formula più famosa al mondo: E=mc2. Visto che nella fissione si scende di numero atomico si perde anche massa che si libera sotto forma di energia.
3) Se non siete ancora convinti c’è un ultimo elemento: nel film si racconta anche la fase di disgrazia di Oppenheimer nel dopoguerra e le accuse di essere un comunista. Il fisico venne riabilitato dal presidente Johnson nel 1963.
In quella occasione per sancire la sua importanza gli venne consegnato il “Premio Enrico Fermi”.
APPROFONDIMENTI
One More Thing: dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)
Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, riportiamo sul nostro blog gli articoli della Newsletter “One More Thing” (https://www.corriere.it/newsletter/?theme=59#).
Perché One More Thing, ancora un’altra cosa? Perché nell’era dell’infodemia e della bulimia informativa di cui siamo tutti vittime, esistono ogni tanto notizie che non si contano ma si pesano. Ecco allora perché “One more thing” come il famoso stratagemma di Steve Jobs per presentare, all’ultimo, l’innovazione migliore. Ma anche come quell’ancora un’altra cosa con cui il tenente Colombo tesseva la sua ragnatela intorno al colpevole, filo dopo filo, con il metodo scientifico di Galileo Galilei.